La smart factory di Valsamoggia

Porsche Consulting e Philip Morris dettano le linee guida per la fabbrica del futuro

11.07.2024 | Articolo

Le imprese italiane sono seconde in Europa solo alla Germania per valore degli investimenti tecnologici (5 miliardi di euro nel 2023), complici gli incentivi come il piano Impresa e Transizione 4.0, ma il nostro Paese è solo al 25° posto per efficienza produttiva e ci sono settori chiave del Made in Italy - come meccanica, meccatronica, plastica - che stanno perdendo quote di export nello scacchiere globale. Parte dalla distonia di questi due piazzamenti l’analisi che Porsche Consulting ha condiviso ieri in Valsamoggia con un centinaio di imprenditori e manager italiani in occasione della prima “Smart factory immersive experience”. Una giornata per sfatare “hype” (bolle che creano aspettative esagerate) sul ruolo che l’intelligenza artificiale giocherà nella fabbrica intelligente e mostrare una buona prassi: il caso concreto del sito di Philip Morris a Crespellano, la più grande fabbrica costruita ex novo in Italia in questo Millennio, 110mila mq e quasi 2 miliardi di euro di investimenti. Qui, dopo il fallimento del primo progetto di “smart factory” del 2019, ha preso forma l’anno dopo il nuovo paradigma di fabbrica sostenibile e intelligente per i prodotti senza fumo, diventato un modello su scala globale per il gruppo. «La tecnologia, e l’Ai in particolare, non sono la soluzione ma mezzi e non si può progettare la “smart factory” partendo dagli strumenti. La stella polare degli investimenti deve essere il vantaggio competitivo che l’azienda può offrire al mercato, è un errore anche puntare sul prodotto o il servizio, perché nel giro di pochi anni possono diventare obsoleti», spiega Giovanni Notarnicola, partner Porsche Consulting, società di consulenza nata nel 1994 come spin off del gruppo automobilistico di Stoccarda. La tecnologia è uno dei sette elementi fondamentali per costruire la fabbrica 5.0, «assieme a competenze, modello operativo, organizzazione, partnership esterne, gestione dei dati e strategie. Ed è da queste ultime, ossia dalle strategie, che si deve partire, non da un robot o una piattaforma che velocizzano semplicemente procedure. E bisogna essere pronti a resettare assetti e certezze aziendali», sottolinea Notarnicola. Con due sfide davvero ardue per le Pmi e il sistema formativo italiano: considerare alleati quelli che fino a ieri erano competitori (nessuna azienda potrà mai avere in casa tutte le competenze e le soluzioni che servono nell’era 5.0) e sapere che in una fabbrica totalmente connessa, automatizzata e che risponde a comandi vocali come lo smartphone, il differenziale competitivo sarà sempre il fattore umano. Caso di scuola è Philip Morris Italia:«Abbiamo fallito quando abbiamo provato a progettare la nostra smart factory montando robot e chiamando a capo l’IT – racconta Alessio Preti, direttore Industrial strategy PMI –. Nel 2020 abbiamo cambiato paradigma, siamo partiti chiedendoci perché ci serviva una fabbrica intelligente e il perché era che con una media di 900 prodotti nuovi ogni anno dovevamo essere più veloci e flessibili. Abbiamo speso sei mesi ad allinearci con tutti i livelli organizzativi per definire la vision, declinare i sette elementi della smart factory, stabilire “case use digitali” per generare risultati nel breve al fine di creare engagement e poi stabilire come disseminare il cambiamento in tutte le nostre 40 factory nel mondo». Grazie a sensoristica (7mila sensori sugli impianti), machine learning, computer vision e algoritmi di autoapprendimento, PMI ha ridotto del 24% i costi energetici, tagliato del 95% i reclami sui prodotti, aumentato del 50% la produttività e quasi azzerato i magazzini ricambi grazie alla manutenzione predittiva 

 

 

 

Ilaria Visentini | Il Sole 24Ore | 20.06.2024

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